NOTIZIE DEI BAMBINI CHE SOFFRONO NEL MONDO

venerdì 29 febbraio 2008

MAMMA ACCOLTELLA FIGLIO DI 18 MESI

Una donna di 34 anni ha accoltellato, ferendolo in modo grave, il proprio figlioletto di appena 18 mesi a Siracusa. Il bimbo è stato sottoposto ad intervento chirurgico all'ospedale Umberto I e non sembra in pericolo di vita. La madre è stata arrestata e ora è ricoverata nella divisione di psichiatria dello stesso ospedale. La donna non è riuscita a spiegare i motivi del suo impeto d'ira.
E' successo nel popoloso quartiere della Borgata a Siracusa - La donna vive con i due figli (oltre al bimbo ferito anche una sorella più grande), la momento del raptus il marito era fuori città per motivi di lavoro. E' stata la stessa madre, secondo quanto emerso dalla prima ricostruzione degli investigatori della squadra mobile, a trasportare il figlioletto ferito all'ospedale ed a raccontare, anche se in maniera confusa, quanto era accaduto poco prima. .Il bimbo sottoposto ad intervento chirurgico - I medici si sono riservati la prognosi ma non sembra che corra pericolo di vita. La madre e' stata arrestata e si trova ricoverata nella divisione di psichiatria dello stesso ospedale. La donna è piantonata e tenuta costantemente sotto controllo da agenti e sanitari. Piange a dirotto e non è stato ancora possibile interrogarla.

http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/08/febbraio/29/accoltella_figlio_18_mesi_768.html?stampa

domenica 17 febbraio 2008

CINA-BAMBINI AL LAVORO COME SCHIAVI

Lavorano quindici ore al giorno a due yuan l'ora (l'equivalente di 0,19 centesimi di euro) i baby forzati del merchandising che porta stampigliato il logo dei Giochi 2008 a Pechino: magliette, cappellini, penne, pupazzetti, bloc notes, tutto l'universo della paccottiglia che ogni Olimpiade si lascia alle spalle, dopo aver invaso gli scaffali dei discount di tutto il mondo. I piccoli operai hanno undici, dodici anni, e vengono reclutati durante le vacanze scolastiche. Nel continente asiatico il lavoro minorile rappresenta un vero e proprio modello produttivo; secondo l'Organizzazione mondiale del lavoro, nel mondo i bambini tra i 5 e i 17 anni sfruttati sono 250 milioni, di cui 155 milioni in Asia. Le ditte negano tutto, anche l'evidenza, i capi reparto falsificano i registri del lavoro per far sembrare tutto in regola e spiegano agli operai come mentire agli ispettori: chi non lo fa viene cacciato. La Lekit Stationery, impresa di Taiwan con stabilimenti a Dongguan (Guangdong), che produce bicchieri di carta, blocchi per appunti e adesivi con i simboli olimpici, assicura che tutti i 420 dipendenti percepiscono almeno il salario minimo di 700 yuan al mese (70 euro circa) e che il lavoro straordinario è pagato come per legge. La Headwear Holdings, con fabbrica a Shenzhen, assicura che l'ambiente e le condizioni di lavoro sono "ottime". Ma adesso il dossier "Nessuna medaglia alle Olimpiadi per i diritti dei lavoratori" della Playfair Alliance - diffuso online da Asianews - li ha messi nei guai, attirando l'attenzione dei funzionari del Comitato internazionale olimpico che vogliono far luce sulla vicenda. Il dossier denuncia "gravi violazioni dei diritti dei lavoratori" in 4 fabbriche cinesi in Shenzhen e Guangdong. Ci sono prove che decine di bambini dai 12 anni in su lavorano dalle 7,30 di mattina fino alle 22,30 producendo indumenti e altri articoli con il marchio delle Olimpiadi di Pechino. Una ditta di Shenzhen produce oltre cinquanta diversi articoli; anche il personale adulto deve lavorare fino a 15 ore al giorno per 7 giorni la settimana per 2 yuan, la metà della paga minima legale in Cina. Gli ambienti di lavoro sono insalubri e gli operai respirano polveri e sostanze chimiche nocive. Il Cio promette controlli e assicura che pretenderà, da tutte le ditte autorizzate a far uso del logo olimpico, "un comportamento etico" . Uno dei mille scandali della Cina del boom, grave quasi come il ritrovamento di plasma "finto", albumina contraffatta, senza alcuna traccia della proteina, trovata in 18 ospedali cinesi. Dello stesso prodotto si servivano, oltre ai 18 ospedali, anche 39 aziende che commercializzano prodotti farmaceutici. Ed è arrivata ieri la notizia (censurata da Pechino, emersa grazie a internet)dei gravi scontri avvenuti il 3 giugno scorso a Chongqing, la città col più alto tasso di crescita economica di tutta la Cina: oltre 10mila persone si sono scagliate contro la polizia dopo che gli ispettori municipali hanno picchiato a morte due venditori ambulanti.
LIbero
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PAKISTAN-BAMBINI KAMIKAZE

I genitori dei ragazzi delle scuole medie nel distretto di Dir, nella provincia pakistana della frontiera nord-ovest (al confine con l'Afghanistan), stanno trasferendo i figli maschi in scuole esterne al distretto per sottrarli al reclutamento da parte di gruppi jihadisti che intendono utilizzarli come kamikaze. Lo ha detto il leader dell'opposizione nell'assemblea distrettuale della provincia Hashim Hussain, ripreso dal quotidiano pakistano Daily News e da India Daily. Secondo il deputato ai ragazzi non viene fornito addestramento militare, ma «gli danno solamente un giubbotto con l'esplosivo dentro per farsi esplodere nei luoghi pubblici». In una scuola media del distretto dieci ragazzi sono scomparsi senza lasciare comunicazioni ai genitori. Solo un genitore finora è riuscito a recuperare il figlio sottrattogli da un gruppo jihadista.
Da Tempi
Non si sono commenti a tanto orrore. Usano i loro stessi bambini come 'carne da cannone', il che la dice lunga sull'odio che li divora.
Si può solo aggiungere che bisogna essere pazzi per negare l'evidenza della guerra che l'Islam fondamentalista conduce contro 'gli infedeli'.
Orpheus



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AFGHANISTAN-BAMBINI KAMIKAZE

Juma Gal ha solo sei anni ed è uno dei tanti bambini afghani, che con il fratellino Dad sopravvive negli sperduti e poveri villaggi rurali. I talebani, o i loro cugini di Al Qaida, volevano trasformarlo nel più piccolo kamikaze della travagliata storia dell’Afghanistan. Gli hanno fatto indossare un corpetto esplosivo, della sua misura di bambino, dicendogli che era una specie di gioco. Dopo averlo imbottito di esplosivo gli hanno intimato di incamminarsi verso la prima pattuglia americana e di premere il bottone dell’innesco, perché «sarebbero usciti dei fiori». Juma è un bimbo intelligente e ha capito subito che qualcosa non andava. «Quando ha visto dei soldati afghani ha chiesto perché gli avevano chiesto di indossare quello strano vestito» ha spiegato il capitano Michael P. Cormier del contingente Isaf in Afghanistan. Gli afghani sono rimasti atterriti e hanno subito disinnescato l’ordigno. Juma, capelli a spazzola e occhioni neri, ha raccontato tutto ricevendo in cambio una lattina di aranciata fresca.
Non ci sono parole per commentare un abominio del genere, si può solo dire che chi condanna ad una morte atroce un bimbo innocente di sei anni, non lo fa in nome di nessun dio, ma di un odio e di un fanatismo senza limiti. Questi sono i "resistenti" che combattono contro gli invasori per liberare il proprio paese? E come ammazzando i loro compatrioti, i loro stessi bambini? Meglio gli invasori che per quanto "perfidi" non imbottirebbero di esplosivo un bambino di sei anni e lo manderebbero inconsapevole, a farsi saltare in aria per ammazzare il nemico.
Li chiamano "studenti di dio", ma sono belve sanguinarie che disprezzano la vita, come sgozzano gli agnelli, con la stessa fredda impassibilità sacrificano i loro figli.
Orpheus




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TERRORISMO ISLAMICO E I BAMBINI

Spesso si usa il termine "bestia" per definire un comportamento abietto, talmente ignobile da essere considerato inumano, non degno del genere umano e quindi "bestiale".
Eppure anche le bestie hanno cura dei cuccioli del branco.
Come definire, quindi chi manda a morire i propri bambini?
"Bestie" non é proprio il caso. E' un'offesa ma nei confronti delle bestie.
Come chiamarli se non mostri assetati di sangue, criminali feroci,talmente fanatici e intrisi d'odio da versare anche quello dei propri "figli" pur di veder scorrere quello dei nemici.
Questi mostri, senza dio, senza coscienza e senza onore (come si può considerare "uomo d'onore" chi fa "combattere" la propria guerra ad un bambino inconsapevole e innocente?) appartengono alla schiera dei "combattentti" di Alqaida, ai "resistenti" che combattono il grande Satana.
Ma loro sono peggio di qualsiasi satana occidentale.

Hanno ucciso un bambino e minato il corpo in modo che esplodesse quando la famiglia fosse andata a recuperarlo.

Hanno preso dei bambini per passare ai checkpoint ingannando gli americani. Si sono fatti saltare in aria insieme a loro.

Un mese fa due bambini sono stati uccisi da una bomba nascosta fra i giocattoli e gli americani hanno trovato adolescenti decapitati alle porte di Baquba. Abu Mussab al Zarqawi bombardò un gruppo di bambini che accettava caramelle dai soldati.
L’ultima tecnica di questa fattoria della morte di al Qaida è lo stordimento dei bambini e il loro impiego in azioni suicide. “I terroristi islamici di al Qaida utilizzano bambini di dieci anni per eseguire attentati kamikaze”. Lo denuncia lo sceicco Saher Abdel Jabbar, esponente delle tribù della provincia irachena all’agenzia di stampa Milaf Press e al quotidiano arabo al Hayat. “L’attentatore suicida che si è fatto esplodere durante un summit dei capi tribù di Diyala venerdì scorso, in base alle indagini mediche e alle prove raccolte dagli inquirenti e dalle forze americane non ha più di dieci anni”. Sunniti e sciiti discutevano di iniziative da intraprendere a livello politico e tribale in appoggio agli americani nella lotta ad al Qaida. L’esercito americano commenta che se gli esponenti di al Qaida “hanno iniziato a usare i bambini vuol dire che è divenuta efficace l’azione di contrasto messa in atto a Diyala”. L’islamismo wahabita è una tigre che divora la preda, a Diyala come a Beslan. Lo hanno capito quelle migliaia di sunniti che si sono rivoltati contro il vero occupante della Mesopotamia. L’islamismo che secondo il filosofo Christian Godin è il peggiore dei totalitarismi: “Odia tutto il mondo”. In Iraq si salda la logica algerina del massacro di bambini e quella iraniana che li ha usati come teche di morte durante la guerra contro Saddam Hussein. Un tagliagole algerino, noto con il nome di “Momo le Nain”, Maometto il Nano, nel 1996, a Ben Talha, un sobborgo di Algeri, decapitò un dozzina di bambini.

L’Iran teocratico ha trasformato i bambini in carne da cannone.
Durante la guerra fra Iran e Iraq, l’ayatollah Khomeini importò cinquecentomila chiavette da Taiwan. Prima di ogni missione suicida, a ogni bambino era consegnata una chiavetta, sarebbe servita a spalancargli le porte del paradiso. I bambini venivano avvolti in coperte, per non disperdere le membra dopo la deflagrazione.
Come ha raccontato un veterano della guerra fra Iran e Iraq alla Frankfurter Allgemeine, “sembrava quasi una corsa, anche senza aver ricevuto ordini dal comandante, tutti volevano arrivare primi”.
Nel 1982 Khomeini emanò una legge che stabiliva che tutti i bambini sopra i dodici anni potevano arruolarsi senza il permesso del padre.
Jonathan Evans, il capo dell’M15, il servizio segreto britannico, una settimana fa ha profeticamente annunciato che al Qaida era pronta a usare i bambini nelle operazioni di “martirio”.
“Stanno radicalizzando e reclutando i bambini vulnerabili per portare a termine atti di terrorismo”. Alla fine di agosto il Los Angeles Times ha pubblicato un’inchiesta sui bambini di al Qaida in Iraq. “Bambini di undici e dodici anni riempiono i campi di detenzione americani in Iraq”.
Il maggiore Douglas Stone spiega che sono almeno cento i bambini utilizzati in operazioni terroristiche. Piazzano le bombe lungo le strade, le tariffe per questo servizio vanno dai duecento ai trecento dollari. Questa estate si è chiusa con i resistenti sunniti contro i qaidisti che, entrando in due villaggi della zona di al Kanan, a nord di Baghdad, hanno rapiti sette bambini. Peter Singer della Brookings Institution parla di una “generazione perduta” di bambini iracheni. Anche Saddam Hussein li usava, inquadrati nei “Leoni di Saddam” e diretti dal figlio Uday, gran regista del terrore di stato iracheno.
L’occidente che fa la conoscenza di questo martire di dieci anni ha chiuso gli occhi e giustificato la cultura del martirio di infanti musulmani cantata nei testi dell’Autorità palestinese. Per al Qaida e l’islam fondamentalista i bambini sono armenti da usare in olocausto. La buona notizia è che i sunniti hanno organizzato volontariamente ed eroicamente la sommossa per sbarazzarsi di “quei bastardi”. Una settimana fa hanno fatto marciare decine di bambini a Baghdad per commemorare lo sceicco Abu Risha, il “leone di Anbar” assassinato da al Qaida e che aveva promesso una guerra “fino all’ultimo figlio”. Con quella parata i veri resistenti hanno rivendicato il diritto alla vita dei bambini iracheni. Sono stati paragonati ai “minutemen”, i volontari dell’esercito americano durante la Rivoluzione.
Stampatello- Da Legnostorto
Orpheus
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BAMBINI BIRMANI PROFUGHI

In un momento in cui le sofferenze del popolo birmano sono tornate sotto i riflettori dei media internazionali, non dimentichiamoci anche delle enormi difficoltà che affrontano i profughi dal Myanmar in India. A ricordarlo ad AsiaNews è Montu Ahanthem attivista del gruppo per i diritti dell’infanzia, Manipur Alliance for Child Rights (MACR).

A Moreh, una piccola città al confine tra India ed ex Birmania, vicino Manipur, vivono centinaia di bambini che necessitano di tutto. Questa zona, da cui entra in India ogni genere di consumo, compresa l’eroina, ha visto negli ultimi anni anche un grande flusso di rifugiati da tutto il Myanmar.
In tutto – racconta Ahnthem – sono circa 200 i piccoli birmani che vivono a Moreh e nei villaggi più interni di Zoldam, Zangoulen, Changtung e T. Nampao. La zona è popolata da tribù Kukis Chin. Questi minori necessitano di cure particolari e non dispongono di nessun sostegno economico: i genitori come unico mezzo di sostentamento entrano nel giro della prostituzione. Il risultato è che molti di loro finiscono su una strada, costretti a lavorare come “schiavi del sesso per mantenere la loro stessa famiglia”. Le bambine diventano prostitute e molti altri vengono abusati o sfruttati. L’attivista continua raccontando di “denutrizione, malaria, dissenteria e scabbia”. Senza contare traumi psicologici e “l’alto rischio di contagio da Hiv/Aids a cui sono esposti”.
La necessità di procurarsi ogni giorno da vivere, inoltre, rende impossibile per i bambini andare a scuola. Le comunità cristiane presenti nella zona stanno aiutando i rifugiati birmani, offrendo un minimo di cure mediche. Ma anche la stessa MACR “non può fare molto”.
L’attivista lancia infine un appello al governo indiano, perché metta in agenda, tra le “sue priorità”, l’assistenza ai giovani rifugiati birmani. La situazione politica locale, però, è molto tesa e non incoraggia alcun intervento di sostegno. L’area di Moreh è sotto il controllo dell’esercito indiano, che vigila sui confini per bloccare il narcotraffico, il contrabbando e le infiltrazioni di gruppi ribelli.

Da Asianews
Orpheus
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BAMBINI BIRMANI PROFUGHI

In un momento in cui le sofferenze del popolo birmano sono tornate sotto i riflettori dei media internazionali, non dimentichiamoci anche delle enormi difficoltà che affrontano i profughi dal Myanmar in India. A ricordarlo ad AsiaNews è Montu Ahanthem attivista del gruppo per i diritti dell’infanzia, Manipur Alliance for Child Rights (MACR).

A Moreh, una piccola città al confine tra India ed ex Birmania, vicino Manipur, vivono centinaia di bambini che necessitano di tutto. Questa zona, da cui entra in India ogni genere di consumo, compresa l’eroina, ha visto negli ultimi anni anche un grande flusso di rifugiati da tutto il Myanmar.
In tutto – racconta Ahnthem – sono circa 200 i piccoli birmani che vivono a Moreh e nei villaggi più interni di Zoldam, Zangoulen, Changtung e T. Nampao. La zona è popolata da tribù Kukis Chin. Questi minori necessitano di cure particolari e non dispongono di nessun sostegno economico: i genitori come unico mezzo di sostentamento entrano nel giro della prostituzione. Il risultato è che molti di loro finiscono su una strada, costretti a lavorare come “schiavi del sesso per mantenere la loro stessa famiglia”. Le bambine diventano prostitute e molti altri vengono abusati o sfruttati. L’attivista continua raccontando di “denutrizione, malaria, dissenteria e scabbia”. Senza contare traumi psicologici e “l’alto rischio di contagio da Hiv/Aids a cui sono esposti”.
La necessità di procurarsi ogni giorno da vivere, inoltre, rende impossibile per i bambini andare a scuola. Le comunità cristiane presenti nella zona stanno aiutando i rifugiati birmani, offrendo un minimo di cure mediche. Ma anche la stessa MACR “non può fare molto”.
L’attivista lancia infine un appello al governo indiano, perché metta in agenda, tra le “sue priorità”, l’assistenza ai giovani rifugiati birmani. La situazione politica locale, però, è molto tesa e non incoraggia alcun intervento di sostegno. L’area di Moreh è sotto il controllo dell’esercito indiano, che vigila sui confini per bloccare il narcotraffico, il contrabbando e le infiltrazioni di gruppi ribelli.

Da Asianews
Orpheus
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CINA-SPARISCONO BAMBINI

In Cina spariscono 190/ 200 bambini ogni giorno. Una coraggiosa inchiesta di Clare Dwyer Hogg, dell'Ob server Magazine ( il domenicale del quotidiano britannico The Observer) assieme alle indagini del regista Jezza Neuman e di Save the children hanno permesso di svelare questa atrocità di cui a Pechino nessuno vuole parlare: settantamila bambini cinesi spariscono ogni anno, nell'indifferenza totale.
Affrontare l'argomento significa inoltrarsi su un terreno estremamente pericoloso, perché questo è il risultato della politica della "pianificazione familiare" che ha abbassato notevolmente il tasso di natalità poiché il figlio cinese "deve essere unico e maschio", il che ha incentivato anche la pratica dell'infanticidio femminile.
In Cina dal 1979 (anno in cui è stata varata la prima regola del figlio unico) a oggi si è arrivati a 40 milioni di bambine vittime dell'aborto selettivo. Secondo l'organizzazione Save the Children «in Cina è in atto un esperimento di massa sulla vita familiare che non ha precedenti nella storia mondiale».
Prima del concepimento i futuri genitori devono ottenere un permesso dallo Stato.
Le famiglie contadine possono essere autorizzate ad avere un secondo figlio, ma solo se il primo è femmina. Le coppie cinesi che vivono in città no, se violano la norma del figlio unico devono pagare una multa di 8.000 yuan, quasi 800 euro, una cifra enorme se si considera che lo stipendio di un operaio specializzato annuo è inferiore ai 2.000 euro.
Ma non tutte le donne cinesi sono disposte ad abortire per sopprimere la propria figlia, piuttosto preferiscono nasconderla finché possono e quando ciò diventa troppo rischioso affidarla agli huagiao, i cinesi emigrati d'oltremare, che spediscono le bambine nelle comunità cinesi in Asia Sudorientale, America, Europa, (Milano compresa) dove vengono impiegate come schiave del lavoro. Sempre meglio che metterle negli orfanotrofi statali cinesi, veri e propri lager, dove maltrattamenti, sevizie, violenze di ogni genere, sessuali comprese, così come i test per sperimentare nuovi farmaci, sono la quotidianità.
Solo l'anno scorso il ministero della Pubblica sicurezza cinese ha ammesso per la prima volta che nel 2007 ci sono stati 2.500 rapimenti di donne e di bambini. Un dato molto inferiore rispetto alle stime di Save the Children che indicano in almeno 70.000 i bambini cinesi che vengono rapiti ogni anno in Cina. Per la legge cinese è illegale il sequestro di donne e bambini destinati a essere venduti, ma non esistono disposizioni sul rapimento per fini diversi dalla vendita. Chi viene rapito per diventare schiavo in una fabbrica o per prostituirsi non conta. La polizia segreta cinese ha occhi e orecchie ovunque, non gli sfugge nulla, tranne l'identità dei trafficanti di bambini, di chi li compra e di chi dirige questo lucroso traffico.
I maschietti cinesi sono molto richiesti dalle neo ricche famiglie di Pechino, Tientsin, Anshan, Dalian. Ma la legge del figlio unico e maschio costringe anche famiglie normali, con un reddito annuo pari a 1500 euro, ad indebitarsi pur di avere un erede di sesso maschile e non rischiare di sopprimere la propria bambina. Nella torbida ombra cinese agisce, con il benestare delle Triadi, una rete criminale molto bene organizzata e protetta. In Cina non è illegale comprare un bambino, i trafficanti non hanno quindi difficoltà a giustificare le loro azioni: cercano di soddisfare una domanda che di per sé non è reato. Mentre ovviamente in realtà lo è. Un bambino può fruttare circa 10.000 yuan (1.000 euro, una grossa cifra in Cina).
A livello mondiale i trafficanti di bambini muovono un "giro d'affari" di 22 miliardi di euro l'anno. I bambini cinesi che scompaiono ogni giorno non si trovano perché nessuno, a parte i loro genitori, li vuole trovare.
Riassunto da Libero
Ahh..le "gioie" del comunismo. Indignarsi sarebbe il minimo, eppure sia il "partygiano" Bertinotti, tanto dedito al pacifismo, che la paladina dei diritti umani, Emma Bonino, in Cina non hanno emesso una "sillaba", di sdegno davanti a tanti orrori.
Il commercio dei bambini non é l'unico, nel paese di Mao, ci sono i laogai, c'è il commercio degli organi dei condannati a morte, c'è la pena di morte, c'è lo schiavismo, la persecuzione religiosa, la pratica diffusa della tortura...
Un vero paradiso. BOICOTTARE LE OLIMPIADI sarebbe il minimo.
Orpheus


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venerdì 15 febbraio 2008

BAMBINI IN IRAQ E AL QAEDA

8 febbraio 2008



Iraq, il terrorismo corre con le gambe dei bambini




Povertà, ignoranza, la seduzione di sentirsi invincibili, il desiderio di adempiere la volontà di Allah e finalmente diventare adulto. I moventi che spingono i piccoli iracheni tra le fila di al Qaeda e delle milizie settarie sono molteplici, ma tutti spiegabili in sostanza con la radicata cultura della violenza e delle armi che in Iraq si è diffusa molto prima dell’invasione americana del 2003. Qaedisti e milizie sunnite e sciite fanno leva su questo e basta poco perché un bambino si ritrovi ad imbracciare un fucile ed inscenare rapine e sequestri come nell’ultimo video di al Qaeda in Mesopotamia, reso pubblico due giorni fa.
Povertà e ignoranza
Il movente più banale è sicuramente il ritorno economico. Per piazzare una bomba oggi al Qaeda pagherebbe un bambino tra i 200 e i 300 dollari, cifra che permette di sfamare una famiglia di almeno cinque persone per due o tre mesi. Secondo fonti militari irachene e statunitensi, sarebbero invece minori le ricompense delle milizie religiose: 35 dollari per consegnare un pacco bomba. Il più delle volte si tratta di bambini delle classi sociali medio basse, che hanno smesso di andare a scuola, per povertà o per mancanza di sicurezza. Secondo dati del ministero iracheno dell’Istruzione, nel 2007 solo il 30 per cento dei 3,5milioni di bambini in età elementare frequentano la scuola.
La seduzione della guerra
Per chi poi ha visto uccidere un genitore o un parente, la guerra rappresenta una forte seduzione, un modo per affermarsi in mancanza di alternative. “Sono grato all’Esercito del Mahdi (milizia sciita di al Sadr, ndr) perché mi ha reso un uomo”, dice Ali, 14 anni sciita, citato in un articolo di Newsweek. I militanti islamici sono gli uomini più forti nel loro mondo fatto di terrore. E qui gioca un ruolo decisivo il richiamo religioso: quando un adolescente sente la sua guida spirituale chiedergli di fare un’azione “in nome di Dio”, avverte che obbedendo lascia la vita da bambino per diventare un adulto in grado di compiere la volontà di Allah. La cultura della violenza
Ma dietro ogni baby terrorista c'è soprattutto il profondo problema di una società cresciuta in stato di guerra e terrore. Che affonda le sue radici già a prima del 2003. “Quando ero al quinto anno della scuola superiore – ricorda Yousef, un giovane venticinquenne di Baghdad ora emigrato in Europa – ci obbligavano ad allenarci nell’uso delle armi dopo le lezioni e chi non partecipava veniva denunciato ai rappresentanti del partito Baath che erano nell’istituto”. “I bambini ormai giocano alla guerra come con le bambole o le macchinine”, denunciano alcuni genitori iracheni. Tanto vasta è la diffusione di armi-giocattolo per le strade, che il governo l’anno scorso aveva espresso “preoccupazione” a riguardo, senza però attuare misure concrete. Un commerciante di Baghdad racconta che “i fucili giocattolo sono l'articolo di gran lunga più venduto sia per i bambini che le bambine”. Vivendo in un contesto in cui la violenza è “addirittura lodata” – spiegano esperti di sociologia – l’adolescente è convinto che con l’uso delle armi può farsi un nome, una reputazione e questo lo fa sentire forte, invincibile.
Da Asia news
Giocare con i fucili giocattolo non trasforma un bambino in un terrorista, é la cultura della morte, propagandata attraverso la religione, che porta a quel fanatismo necessario per inmmolarsi in nome di Allah.
Orpheus





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venerdì 8 febbraio 2008

DARFUR-ALLARME MALNUTRIZIONE

E scatta l'allarme malnutrizione.
31/10/2007


“L'attenzione dei media e il coinvolgimento a livello politico fanno sì che tutti siano a conoscenza di questo conflitto tuttavia negli ultimi quattro anni la situazione non ha dato segni di miglioramento. Anzi, per molta gente la situazione è peggiorata. C'è stato un deterioramento delle condizioni di vita in molti campi sfollati e in molte zone rurali e per la popolazione civile l'insicurezza è motivo di enorme preoccupazione. La gente vive nella paura. Ogni giorno è un punto interrogativo sulla sopravvivenza”.



Banu Altunbas, Responsabile di Missione di MSF nel Darfur meridionale





Introduzione



Mentre in Libia sono in corso i negoziati di pace, l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale è ancora una volta concentrata sul Darfur. Quattro anni dopo, il conflitto continua. Forse i combattimenti sono meno intensi rispetto al 2003-2004 ma la situazione è sempre più complessa. I gruppi armati si sono divisi in una serie di fazioni in lotta per motivi diversi. Le alleanze possono mutare repentinamente. Le città e i campi sfollati possono venire attaccati con pochissimo preavviso. L'impatto sulla popolazione civile è devastante. La gente vive sul filo del rasoio, pronta a scappare al minimo allarme. Chi ha trovato rifugio nei campi sfollati o negli insediamenti vicini alle città lotta per la sopravvivenza. Gli aiuti alimentari sono limitati, i servizi medici scarsi e negli ultimi due anni, in molte aree, c'è stato un deterioramento del soccorso umanitario.





Sfollamento continuo della popolazione



Mentre il conflitto in Darfur diventa sempre più complesso e sulla scena spuntano sempre nuovi gruppi armati con interessi diversi, la violenza non accenna a diminuire. I campi sfollati (IDP) nella regione ospitano centinaia di migliaia di persone. MSF lavora in 11 dei maggiori campi, fornendo soccorso medico a circa 300.000 sfollati e a migliaia di altri sfollati raccolti negli insediamenti vicini a città come Kebkabiya o Serif Umra.



La gente è ancora costretta a fuggire quasi quotidianamente. In molti dei posti in cui lavora MSF, nuove ondate di sfollati stanno rendendo ancora più difficile una situazione già precaria.



“ L'azione di soccorso a Zalingei (Darfur occidentale) è la stessa del 2005” spiega il Coordinatore medico di MSF Mathilde Berthelot, “ ma la situazione è radicalmente cambiata. Ora qui ci sono più di 100.000 persone. Negli ultimi due anni ogni mese abbiamo avuto centinaia di nuovi arrivi. Ad esempio, numerose famiglie nomadi si sono stabilite in un nuovo campo che ora ospita 15.000 persone. Alcune famiglie recentemente sfollate hanno difficoltà nel registrarsi per ricevere le distribuzioni alimentari per cui le famiglie sfollate da più tempo devono dividere le loro razioni con i nuovi venuti. Le organizzazioni umanitarie devono adattarsi ai cambiamenti che si stanno verificando in Darfur ”.



In alcune zone del Darfur si stanno manifestando i segni preoccupanti della malnutrizione. Gli aiuti alimentari vengono distribuiti ma non sono sufficienti. Tra luglio e settembre 2007 il numero di bambini gravemente malnutriti ricoverati all'ospedale di Zalingei e nel centro sanitario di Niertiti era tre volte superiore a quello dello stesso periodo del 2006. E' la prima volta in tre anni che i team di MSF assistono a un aumento della malnutrizione in queste aree. MSF è intervenuta ricoverando un numero maggiore di bambini all'interno del suo programma ospedaliero e aprendo anche programmi ambulatoriali. Centinaia di bambini vengono curati settimanalmente.





Sfide e frustrazioni



Lavorare in Darfur comporta una serie di sfide e di frustrazioni. Lo staff di MSF deve far fronte bisogni enormi ma, data la situazione, anche a enormi limitazioni . In numerose città la gente è totalmente tagliata fuori dall'assistenza. E' il caso di Kaguro, una città nel Jebel Si, ai piedi del Jebel Mara, che è sotto il controllo dei gruppi ribelli. Le strade sono così pericolose che l'unico modo per arrivare a Kaguro, e in molti altri posti del Darfur, è con l'elicottero. MSF è l'unica organizzazione medica presente a Kaguro. La clinica sanitaria lavora a pieno regime: effettua una media di 3.500 visite al mese. A volte i pazienti camminano per cinque o sei ore per arrivare alla clinica, spesso sottoponendosi a gravi rischi. Nei prossimi mesi MSF spera di poter aprire altre postazioni sanitarie nell'area di Kaguro in modo che le persone non siano costrette a fare viaggi così lunghi e pericolosi.



Molte città nelle quali lavora MSF sono simili a “enclave” dalle quali la popolazione civile non può uscire. I pazienti, soprattutto uomini, temono per la loro vita quando attraversano la linea di confine tra il territorio controllato dai ribelli e quello controllato dal governo, o viceversa. In città come Kaguro e Kutrum è difficile trasferire negli ospedali di Kebkabiya o Niertiti i pazienti che necessitano di interventi chirurgici, persone rimaste ferite durante i combattimenti o donne che hanno bisogno di un taglio cesareo. MSF non li può portare in auto perché le strade non sono sicure.





Incapaci di fornire un'assistenza continua



Negli ultimi due anni gli aiuti umanitari sono diminuiti in alcune zone del Darfur sia perché è troppo pericoloso per un'organizzazione umanitaria iniziare a lavorare qui sia perché si è stati costretti ad evacuare per ragioni di sicurezza. Quest'ultimo è il caso di Tawila, una remota città del Darfur settentrionale dove MSF ha recentemente iniziato a lavorare in tre campi: Dali, Argo e Rwanda. Questi campi, che ospitano circa 33.000 sfollati, si trovano alla periferia di Tawila, nei pressi della base dell'Unione Africana, dove la gente si sente un po' più al sicuro. In passato a Tawila c'erano numerose organizzazioni ma ad aprile di quest'anno sono andate via a causa del persistente clima di insicurezza. 35.000 persone sono rimaste prive di assistenza medica. MSF ha organizzato una serie di cliniche mobili nei campi sfollati ma sei settimane dopo il team è stato costretto a evacuare a causa di incidenti legati alla sicurezza ed è potuto ritornare a Tawila solo a metà ottobre.



E Tawila non è un'eccezione. Il clima di insicurezza costringe regolarmente MSF a evacuare il proprio staff internazionale, lasciando la popolazione con poca o nessuna assistenza. L'unico modo per MSF di continuare a dare assistenza medica è attraverso la dedizione e il duro lavoro del suo staff sudanese. Quando, l'8 e 9 ottobre, alcuni gruppi armati hanno attaccato la città di Muhajariya nel Darfur meridionale, MSF è stata costretta ad evacuare 16 persone del suo staff. Mentre lo staff sudanese continuava a curare circa 100 pazienti al giorno, oltre 35.000 persone che vivevano a Muhajariya e nelle sue immediate vicinanze, restavano direttamente coinvolte negli attacchi e necessitavano urgentemente di assistenza umanitaria. Due settimane dopo un team ridottissimo è tornato in città con nuove scorte di medicinali per dare sostegno alla clinica principale e continuare il servizio di cliniche mobili per le migliaia di sfollati presenti a nord della città.



La mattina del 18 ottobre le tensioni continue tra le diverse fazioni all'interno del campo di Kalma, uno dei campi IDP più vasti del Darfur, sono esplose in un violento scontro tra gruppi armati non identificati. Migliaia di persone sono fuggite nel “bush” circostante, negli altri campi sfollati o nei villaggi della zona. MSF, che lavorava a Kalma dal 2004, ha dovuto lasciare il campo per non restare coinvolta nel fuoco incrociato. Tre giorni più tardi il team di MSF era in grado di riavviare le attività e oggi effettua circa 250 visite al giorno, metà alla clinica presente nel campo sfollati e metà con un team mobile che sta cercando di raggiungere le persone fuggite dal campo. Sembra che molte persone abbiano lasciato tre degli otto settori del campo; o si sono spostate in altri settori oppure hanno abbandonato il campo.







Conclusioni



Lavorare in Darfur è una sfida costante. Le organizzazioni umanitarie devono essere flessibili e pronte a superare le difficoltà di un'assistenza condotta in condizioni ambientali mutevoli, complesse e instabili. Tuttavia le frustrazioni e le restrizioni affrontate dallo staff di MSF non sono niente rispetto a ciò che i nostri pazienti devono sopportare quotidianamente. A quattro anni di distanza, e malgrado la forte attenzione suscitata dalla crisi a livello internazionale, in Darfur la situazione sul terreno sembra soltanto peggiorare.



http://www.medicisenzafrontiere.it/msfinforma/comunicati_stampa.asp?id=1576

LA TRAGEDIA DEL DARFUR

La tragedia del Darfur

Tre milioni i bambini colpiti dalla guerra, oltre un milione sono tagliati fuori da ogni aiuto. Oltre 3 milioni di bambini lottano quotidianamente per la sopravvivenza in Darfur, e più di un milione sono tagliati fuori da ogni tipo d'aiuto e assistenza.

Questo il dato che emerge dal Child Alert Darfur, il nuovo rapporto dell'UNICEF sulla condizione dei bambini vittime della guerra in Darfur. Sui circa 6 milioni di abitanti del Darfur, oltre 3,4 milioni risultano direttamente colpiti dalla guerra: di questi, 1,8 milioni di persone sono sfollati accolti in circa 200 campi e 1,7 milioni appartengono alle comunità locali. I bambini sono oltre 1,75 milioni.

Paradossalmente, sottolinea il rapporto, questa è la popolazione con le maggiori opportunità di sopravvivenza, in quanto raggiungibili dagli aiuti umanitari, mentre altri due milioni e mezzo di persone - di cui oltre un milione sono bambini - risultano tagliate fuori da ogni tipo d'assistenza, isolate in aree rurali controllate o dal Governo o dai ribelli, ma egualmente inaccessibili alle agenzie umanitarie.

Poco o nulla si sa sulla condizione delle popolazioni isolate. Alcune comunità potrebbero non trovarsi in situazioni critiche, ma si teme che la maggior parte versi in condizioni di grave insicurezza alimentare, a causa del collasso economico e della militarizzazione della regione che li ha privati dei mezzi di sussistenza.

A causa della guerra, l'economia del Darfur è in costante declino, con un peggioramento delle condizioni di vita dei bambini, anche quando non appartenenti a comunità direttamente colpite dalla guerra.

Il Darfur, a causa del conflitto, è stato ridotto ad un "ghetto", con gruppi di diverse tribù ed etnie impossibilitati a spostarsi al di fuori delle rispettive comunità, per timore di attacchi e razzie.

"Dal 2004 gli interventi umanitari hanno migliorato decisamente la situazione generale del Darfur", ha affermato Ted Chaiban, Rappresentante UNICEF in Sudan, "ma l'instabilità perdurante e la situazione di stallo politico fanno sì che, per i bambini, le speranze di un futuro migliore siano ben poche".

Dall'inizio della crisi, nel marzo 2003, il numero di persone che ricevono assistenza è passato da 500.000 agli oltre 3 milioni attuali, ma, di contro, la popolazione colpita direttamente dalla guerra è salita da 1 milione del 2003 a quasi 3,5 milioni del novembre 2005.

Fino a questo momento, l'UNICEF ha:


ha sostenuto la vaccinazione di 3,1 milioni di bambini contro il morbillo e di 1,4 contro la polio

ha contribuito a una decisa riduzione dei tassi di mortalità infantile e di quelli malnutrizione, passati dal 21,8% del 2004 all'11,9% del 2005

ha fornito acqua potabile e servizi igienico-sanitari a circa due milioni di persone

ha contribuito all'inserimento scolastico di 354.000 bambini

ha garantito protezione a 172.000 bambini nei Centri a misura di bambino (Child-Friendly Centres)


http://www.okpedia.com/la-tragedia-del-darfur.htm

NEI DISEGNI DEI BIMBI DEL DARFUR LE PROVE DELL'ORRORE DEL GENOCIDIO

Nei disegni dei bimbi del Darfur
le prove dell'orrore del genocidio
"Una ricostruzione quasi fotografica dei massacri visti da occhi incolpevoli"
Servono a smentire la tesi del governo sudanese che nega ogni responsabilità

Bombe contro i civili, fosse comuni, decapitazioni, villaggi incendiati o distrutti, i sudanesi che attaccano con tank ed elicotteri e la popolazione che si difende con le frecce. Questo hanno visto i bambini del Darfur, e questo hanno raccontato in 500 disegni quelli tra loro che sono riusciti a fuggire e a trovare rifugio nei campi profughi del Ciad.

Adesso questi disegni saranno consegnati alla Corte penale internazionale che accusa il ministro degli Affari umanitari sudanese, Ahmed Muhammed Harun, e uno dei leader delle milizie janjaweed, Ali Mohammed Ali Abd-al-Rahman, di crimini di guerra.

Dai fogli e dalle matite colorate distribuiti ai bambini per distrarli mentre le loro madri venivano intervistate sulle atrocità che avevano visto durante la guerra è emersa una "prova", tanto involontaria quanto significativa del genocidio. Almeno questa è la speranza della organizzazione non governativa Waging peace che ha raccolto i disegni dei piccoli e li consegnerà alla Corte. "I bambini hanno fornito una registrazione fotografica", ha detto Rebecca Tinsley, direttore dell'organizzazione. "Quanto emerge dalle immagini supporta quello che sappiamo che sta accadendo in Darfur e contraddice quello che afferma il governo sudanese".

(3 agosto 2007)
http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/esteri/darfur/disegni-bimbi-1/disegni-bimbi-1.html